Читаем Il terzo occhio della mente полностью

Togliendo di tasca un mazzo di chiavi, Betty si fermò accanto a un camioncino Ford grigio, sporco di fango. — E aperta — gli disse, indicando la portiera di destra.

— Okay. — Chiedendosi perché mai il camioncino gli sembrasse familiare, Redpath aprì la portiera. Restò di stucco. L’uomo che aveva visto al parco, lo sconosciuto col mento enorme, gli sorrideva dal sedile passeggeri. Redpath restò in silenzio per un attimo, senza capire.

Betty spalancò l’altra portiera, vide l’uomo e si fermò. — Cosa ci fai qui? — chiese con una certa esasperazione, ma niente affatto sorpresa.

— Dammi un passaggio, Betty — rispose l’uomo. La sua voce era dolce, quasi melodiosa, in netto contrasto col suo aspetto stranissimo. — Dammi un passaggio fino a casa.

Lei si portò le mani ai fianchi. — Albert, mi hai seguita?

— No, Betty, giuro. Ho solo visto il tuo camioncino. — L’uomo fece un cenno vago con le sue mani enormi. — Voglio un passaggio fino a casa.

— Va bene, però devi metterti dietro.

— Sì, Betty, sì. — L’uomo indirizzò un sorriso di trionfo a Redpath e cominciò ad arrampicarsi sul sedile, fra le tenebre del vano posteriore. Si muoveva goffamente, impedito dalla mancanza di spazio e dalla tuta aderente. Da una tasca della tuta usciva, stranamente, un pacchetto di sigarette americane. Redpath distolse gli occhi dall’uomo, guardò verso il parco. Quel tipo, Albert, in effetti stava seguendo Betty, che forse era la sua padrona di casa; ma una sua caratteristica ancora ‘più notevole era che, nonostante il fisico tanto goffo, doveva essere riuscito a percorrere diverse centinaia di metri senza farsi vedere, e alla velocità di un atleta olimpionico. Tra la panchina su cui sedeva Redpath e il cancello si stendeva una zona di terreno allo scoperto, per cui Albert doveva aver fatto un giro piuttosto lungo, eppure era arrivato al camioncino prima di loro. Era davvero difficile capire come ci fosse riuscito.

— Sali, tesoro — disse Betty, e accese il motore.

Redpath fece una smorfia, poi salì e chiuse la portiera. Betty partì subito. Maneggiava il volante e il cambio con competenza assoluta. Redpath rimase in attesa, ma passarono diversi minuti e non successe niente. Allora intuì che lei non gli avrebbe presentato l’altro passeggero e non avrebbe spiegato la sua presenza. Albert si era sistemato sullo strato di sacchi di patate, giornali e brandelli di tappeto che ricoprivano il retro dell’automezzo, e sembrava contento di restarsene tranquillamente in silenzio.

“Un’altra luce che mi fruga la nuca. Nei patti non era previsto.”

Redpath si mise a fissare il panorama che aveva attorno e si ritirò nei propri pensieri. Visto che, per decisione cosciente, era passato da un gruppo di consumatori a un altro gruppo (processo che normalmente si chiama farsi strada, ovvero passare dalla classe operaia alla media borghesia), si reputava uomo di due mondi, ma si era scordato di certe cose. Una delle battute che ripeteva più spesso diceva che la differenza principale tra la classe operaia e la media borghesia consiste nel fatto che gli operai non si sentono obbligati a rispondere alle lettere; ma adesso gli veniva in mente un’altra caratteristica più saliente. Nella sua infanzia, e nei primi anni di gioventù, non aveva mai assistito a una presentazione fra due persone. Lui stesso, a quindici anni, aveva incontrato una ragazza, era uscito tre volte con lei spassandosela per bene, e l’aveva lasciata senza nemmeno sapere come si chiamasse. Riflettendoci, gli sembrava che solo nelle classi “alte” la gente si sentisse a disagio in presenza di qualcuno che non fosse stato presentato e chiaramente identificato, forse perché le classi alte avevano più da perdere, e ogni sconosciuto costituiva una minaccia potenziale…

“Impossibile. Io non ho un accidente di niente da perdere, eppure non mi va di stare chiuso in uno scatolone di latta con qualcuno che non conosco. Specialmente se sembra uscito da un telefilm della famiglia Addams. È ora di tagliare la corda, vecchio mio.”

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