— Cosa mi sono…? — Quella domanda così semplice, così naturale, implicava che fino a prova contraria tutte le sue ferite dovevano avere cause molto prosaiche; e Redpath capì all’improvviso quanto sarebbe parsa assurda la sua storia.
“La ferita alla spalla? Ma niente, me l’ha fatta la cara signorina Connie con uno scalpello prima che io le dessi fuoco.
“La bruciatura alla mano? Oh, sai com’è, il nato-Una-Volta mi ha paralizzato, e così ho tenuta in mano per troppo tempo una bottiglia incendiaria.
“Quelle zone di pelle viva sulle caviglie? È stato quando il nato-Una-Volta ha cominciato a mangiarmi. Si nutre di cheratina, sai. Esatto: la proteina che si trova nella pelle e nei capelli e nelle unghie e nelle piume e nei becchi degli uccelli. Per fortuna che avevo le calze di nylon e le scarpe con la suola di gomma. Altrimenti sarei conciato proprio male. Sissignora, proprio male!”
Redpath ripassò mentalmente il racconto che voleva fare a Leila. Cominciava alle prime ore di martedì, quando Albert, ne era convinto, si era presentato alla sua porta per metterlo in guardia, poi si era lasciato spaventare dalla visione mostruosa proiettata dal nato-Una-Volta. L’alieno aveva ricordato ad Albert qual era la punizione per i traditori. Albert aveva un ruolo di primo piano anche in altri avvenimenti. Aveva trasportato Redpath in America, sul tappeto magico della psicocinesi, e gli aveva fatto vedere quello che il nato-Una-Volta faceva agli esseri umani. E, naturalmente, Albert era il primo attore dell’ultima scena. Quell’uomo così brutto e così eroico era al centro di tutta la storia… Ma adesso dov’era finito? A cosa serviva raccontare a Leila che Albert e gli altri probabilmente erano bruciati nell’enorme fornace dell’acciaieria di Calbridge, ma che poteva anche trattarsi di un vulcano al centro della Terra o del Sole?
Come poteva credergli Leila? Ripensando a tutto quell’incubo, come poteva crederci lui stesso?
— John, ti ho chiesto cosa ti sei fatto.
Redpath la fissò per qualche secondo, prese una decisione. — Mi sono ferito alla spalla con un chiodo che sporgeva dal muro, dopo di che mi sono versato un po’ di acido sulle caviglie.
— Allora sarà meglio che ti porti in ospedale. — Leila ingranò la marcia e premette sull’acceleratore. — Certa gente non dovrebbe andare in giro da sola.
— Io sono proprio uno di quelli. Pensi che potremmo rimediare in qualche modo?
— Questa è la proposta di matrimonio più volgare che io abbia mai sentito — commentò Leila, senza togliere gli occhi dalla strada. — Immagino di doverla prendere per quello che è.
— Grazie. — Redpath si abbandonò sul sedile, distolse i pensieri da un passato che diventava sempre più irreale di secondo in secondo, cominciò a riflettere sul futuro che doveva ancora emergere dalle nebbie delle probabilità.
Un autore per tutte le stagioni
di Vittorio Curtoni
Bob Shaw è uno di quegli autori che meriterebbero, e da parecchi anni, molta più fortuna di quella che hanno. Purtroppo per lui, non ha mai scritto grandi best-seller internazionali; nessun regista di grido ha mai tratto un film dai suoi libri; non è in linea con l’attuale tendenza al gonfiaggio dei romanzi, cioè non è il tipo capace di scrivere cinquecento cartelle basate su un’idea che, al massimo, potrebbe reggere un racconto lungo… È, per sua sfortuna (e per grande fortuna dei suoi cinque lettori), un narratore autentico.
Di conseguenza, i suoi libri hanno dimensioni ragionevoli, le sue storie conservano un’esemplare coerenza dalla prima all’ultima parola; e i suoi personaggi hanno un sapore talmente vero da risultare, in più di un’occasione, sgradevoli nella loro nuda realtà umana.
Nato a Belfast nel 1931, laureato in ingegneria meccanica, pubblica il primo racconto nel 1954, ma solo dal 1975 decide di diventare scrittore a tempo pieno. La sua ormai ricca bibliografia comprende romanzi giustamente celebri (all’interno dell’universo degli appassionati di fantascienza, se non altro) come