Il periodo dell’accoppiamento terminò. Nia diede a Enshi i suoi doni. Lui pareva a disagio. — L’inverno è stato duro. Ho perso la maggior parte dei miei doni di addio. Prima un assassino-delle-foreste ha trovato il mio nascondiglio e l’ha distrutto, poi ho perso gran parte di quel che restava questa primavera mentre attraversavo un fiume. Ma compongo poesie. Posso offrirtele?
— Sì.
Ne recitò nove o dieci. In seguito Nia se ne ricordò solo una. Parlava di un albero che lui aveva visto qualche giorno prima.
— Tutti i rami erano spogli e la corteccia si stava staccando. Ciò nonostante, c’erano virgulti tutt’attorno all’albero, che crescevano dalla sua base. Erano lunghi come il mio braccio. Avevano foglie e fiori. Ho pensato che questo doveva avere un senso. E ho composto una poesia. Fa così:
"Se tu non ti arrendi
vecchio albero…
Non lo farò
nemmeno io."
— Quella mi piace — disse Nia.
Lui la recitò di nuovo. — È sufficiente? Abbiamo fatto uno scambio equo?
— Dov’è Anasu?
— Oh, sì. Segui la pista finché non si biforca. Allora va’ a sud. Arriverai presso una grossa pietra con sopra dei segni. La pietra è magica e nessuno pretende mai che si trovi nel suo territorio. Le persone vanno lì a scambiare doni. Aspetta presso la pietra. Se Anasu è da qualche parte lì attorno, verrà.
— Grazie. Abbiamo fatto uno scambio equo.
Si dissero addio. Nia sellò il suo cornacurve, poi montò in sella e si allontanò. Era una giornata soleggiata e soffiava una lieve brezza. Gli uccelli zufolavano. Si sentiva appagata.
Al crepuscolo giunse presso la pietra. Era alta e stretta, con incise delle linee. Riusciva a mala pena a scorgerle e non sapeva che significato avessero. Erano state delle persone a farle? Nessuno che lei conoscesse incideva linee nella pietra.
Legò il suo cornacurve e accese un fuoco. La notte era serena. Nia si coricò sulla schiena. Su nel cielo, sorse la Grande Luna. Era all’ultimo quarto. Restò a osservarla per un po’ di tempo, poi si addormentò.
La mattina seguente osservò la pietra. Le linee raffiguravano degli animali, per lo più cornacurve. Ma c’era un altro animale che non riconosceva. Aveva un corpo grosso e corte corna. Che cos’era? Nia si grattò la testa. C’erano cacciatori sulla pietra: uomini con archi. Formavano un circolo attorno agli animali. Su un lato, a una certa distanza, c’era un uomo da solo. Era più grande degli altri, e aveva delle corna. Erano corte, come quelle dell’animale sconosciuto. Chi era? Una qualche specie di spirito, a quanto pareva. Ma nessuno spirito che lei conoscesse. Il Signore delle Mandrie aveva lunghe corna ricurve. Lo Spirito del Cielo era privo di corna. Si grattò di nuovo la testa. Poi si preparò la colazione.
A mezzogiorno comparve Anasu. Arrivò cavalcando lungo la pista che portava alla radura in cui c’era la pietra. Trattenne il suo cornacurve.
Nia si alzò in piedi. — Fratello.
Lui era più grande di come se lo ricordava e aveva un torace molto ampio. La sua pelliccia era ruvida e scura. Indossava un gonnellino rosso, un’alta cintura, alti stivali, un coltello dall’impugnatura d’argento. — Nia? — disse dopo un momento. Restò a fissarla. — Hai superato la smania. — La sua voce aveva un suono aspro e deluso. — Ti ha presa qualcun altro.
— È una cosa da dire questa? Gli uomini non sanno pensare ad altro che al sesso?
Lui scoppiò in una risata. Non era un suono del tutto affabile. — In questo periodo dell’anno non penso quasi a nient’altro. Mi dico che, se fossi coraggioso, andrei a nord. Poi penso: non sono abbastanza maturo per affrontare quegli uomini. E tu che cosa ci fai qui?
Lei fece il gesto del dubbio.
— Non hai mai avuto le idee chiare. — Smontò di sella. — Vuoi del sale? Ne ho.
— No. Voglio parlare. Come stai? — Fece un passo verso il fratello.
Lui alzò una mano. — Resta dove sei. Non sono abituato alla gente.
Nia si fermò.
Dopo un po’, Anasu disse: — Sto bene. Non c’è niente che tu voglia darmi in cambio del sale?
Lei si tolse la cintura. — Vuoi questa? Ho fatto io la fibbia. È oro misto ad argento.
Lui esitò. — D’accordo. — Si voltò verso le bisacce da sella.
— Non voglio sale. Voglio fare conversazione.
Anasu si girò di nuovo verso di lei e la fissò. — Perché?
— Fratello, quando penso a te, mi sento sola.
Anasu si grattò la nuca. Poi fece il gesto che significava "così sia" oppure "sono cose che capitano".
— Non c’è modo di parlare?
Lui restò in silenzio per un lungo momento. Nia aspettava. Infine Anasu disse: — Non credo che ciò che tu vuoi siano parole. Potrei offrirti parole, anche se non sarebbe facile. Non sono più abituato a parlare molto o a dire quello che mi passa per la mente. Ma credo che tu voglia qualcos’altro. Credo che tu sia come la donna dell’antica leggenda, i cui figli si trasformarono in uccelli. Lei lasciò la propria tenda e vagabondò per la pianura nel tentativo di trovarli. Ma non ci riuscì mai, e alla fine morì e diventò uno spirito, uno spirito malvagio, uno spirito famelico. — Esitò e aggrottò la fronte.