Ma nella sua mente c’era adesso l’unione, e Jim si soffermò ad assaporare, tremando all’improvvisa, indicibile realtà, la nuova conoscenza. Seppe cos’era Quilcon, e la gioia zampillò dentro di lui ancor più avida di quella luce abbagliante. Un pensiero fiorì nel suo cervello: il sesso sta forse soltanto nella diversità delle funzioni corporee, nella grana della pelle e nel tono della voce?
Riandò col ricordo a un altro giorno… quando il cielo e la terra sottostante erano pieni di morte, e anche un piccolo ospedale da campo. Una figura pallida, distesa su una branda, aveva mormorato: «Starai bene, Jim. Io vado… avanti, credo, ma tu starai bene. Lo so. Non sentire troppo la mia mancanza».
Si era convinto che per lui non ci sarebbe stata più pace, ma adesso c’era di nuovo pace in lui, e la voce di Quilcon era come quella voce, di tanto tempo prima, poiché man mano la creatura sondava i suoi pensieri, la sua innata capacità accordò sentimenti e pensieri alieni con quelli d’un terrestre, e infine disse: «Ora,
«Sì… sì, è proprio così». L’intensità dei sentimenti che erompevano in lui quasi l’accecò. «Ed io voglio chiamarti Ruth, come un’altra Ruth…»
«Mi piace questo nome». La sua voce aveva una punta di timidezza, mentre esprimeva il suo gradimento. E Jim non trovò affatto strano il fatto di non poter vedere il suo interlocutore, poiché nella sua mente c’era una visione molto più bella di quanto avrebbe potuto essere una concreta immagine terrestre.
«Avremo tutto», disse. «Tutto ciò che il tuo mondo e il mio possono offrire. E vedremo tutti gli altri mondi».
Ma, com’era stata così pratica l’altra Ruth, anche questa lo era. «Prima di tutto dobbiamo riparare il motore. Vogliamo farlo, adesso?»
La figura solitaria di Jim Ward si riscosse. Si avviò verso la rampa a spirale e nuovamente scomparve nelle profondità della nave.