Si alzò, drizzandosi completamente, e si calmò al pensiero che il vascello non poteva volare. Non poteva ancora decollare, con tutto quel lavoro di riparazione ancora da fare, e lui non aveva nessuna intenzione di finirlo, di questo era fermamente convinto.
«Quilcon!» chiamò. «Si faccia vedere. Chi è lei, e cosa vuole da me?»
«Voglio che lei finisca le riparazioni, e in fretta», rispose all’istante la voce. «E in fretta… devono esser terminate in fretta».
C’era una nota di disperazione e sconforto in quella voce, che cominciava a far effetto su Jim. Poi, egli colse il lieve movimento sulla parete accanto a lui.
In un piccolo emisfero trasparente appeso sulla parete si trovava la lumaca che Jim aveva intravisto nell’ufficio postale, la creatura che la direttrice aveva definito «armadilio». Non l’aveva notata, quand’era entrato per la prima volta nella cupola. Ora la creatura si stava muovendo con lente pulsazioni che rigonfiavano la sua superficie, sulla quale spiccava una rete di linee livide, come un intrico di vene.
Da quel piccolo emisfero dalle sfumature dorate si dipartiva un groviglio di cavi che andavano a strumenti e a scatole di raccordo disseminati per tutto il locale. All’interno dell’emisfero un centinaio di minuscoli pseudopodi stringevano le estremità dei cavi.
Era una nave… e quella lumaca all’interno dell’emisfero era il suo incredibile pilota alieno. Jim lo seppe all’istante, diventando conscio della realtà sgomentante e gelida che gli giungeva in ondate di pensiero da quella lumaca chiamata Quilcon, facendo irruzione nella sua mente. Erano una nave e un pilota giunti da fuori della Terra… dagli sconfinati abissi dello spazio.
«Cosa vuole da me? Chi è lei?» chiese Jim Ward.
«Sono Quilcon. Lei è un buon allievo. Impara bene e subito».
«Cosa vuole da me?»
«Voglio che lei ripari il motore danneggiato».
C’era qualcosa che non andava in quella creatura. Jim lo sentiva, sia pure come qualcosa d’impalpabile. Un’aura d’infermità. Una disperata sollecitazione che finì per invadergli del tutto la mente.
Ma c’era qualcos’altro in primo piano nella mente di Jim. L’orrore causato dalla creatura aliena si attenuò e Jim poté contemplare quel miracolo che era giunto fin qui, all’umanità.
«Farò un patto con lei», disse con calma. «Mi dica come costruire una nave come questa, ed io riparerò il motore per lei».
«No, no! Non c’è tempo per questo. Devo fare in fretta…»
«Allora me ne andrò e non farò più nessuna riparazione».
Si avviò verso la porta, ma subito fu afferrato da un’onda paralizzante, come se avesse stretto in mano due elettrodi carichi. La morsa si rilassò soltanto quando arretrò dalla porta.
«Il mio potere è debole», disse Quilcon, «ma ancora per molti giorni sarà forte abbastanza per questo. Troppi, perché lei possa sopravvivere senza cibo e acqua. Ripari il motore, e io la lascerò andare».
«Quello che le chiedo è un prezzo troppo alto da pagare, per avere il mio aiuto?»
«Lei è stato pagato abbastanza. Può insegnare alla sua gente a costruire macchine a coordinamento d’energia. Non è sufficiente?»
«La mia gente vuol costruire motori come questo e viaggiare nello spazio».
«Questo non glielo posso insegnare. Non so farlo. Non sono stato io a costruire questa nave».
La sua mente fu spazzata da impetuose ondate di pensieri turbati, ma la tensione si acquietò in lui. Il primo timore che aveva provato davanti a una vita totalmente aliena lasciò la sua mente, e Jim provò una strana affinità con quella creatura. Era ferita e malata, questo l’aveva capito, ma non riusciva a credere che non sapesse com’era costruita la nave.
«Coloro che hanno costruito questa nave vengono spesso a commerciare sul mio pianeta», spiegò Quilcon. «Ma noi non possediamo navi come questa. La maggior parte di noi non desidera altro che passar la propria vita tra le caverne umide e le spiagge soleggiate del nostro mondo, ma io ardevo dal desiderio di vedere gli altri mondi, quelli da cui queste navi venivano.
«Quando questa nave atterrò vicino alla mia caverna, vi strisciai dentro e mi nascosi. Poi la nave decollò, e viaggiò per un tempo lunghissimo. Finché un giorno un guasto al motore uccise tutti e tre gli operatori della nave ed io rimasi solo.
«Anch’io rimasi ferito, ma non ucciso. Morì soltanto l’altro di me».
Jim non comprese quest’ultima, strana frase, ma non interruppe la storia di Quilcon.
«Fui in grado di elaborare dei mezzi per controllare il volo della nave», questi proseguì, «e di atterrare sul vostro pianeta senza distruggerla. Ma non potevo ripararla a causa della natura del mio corpo».
Allora Jim capì che la storia della creatura doveva esser vera. Era ovvio che quella nave era stata costruita per essere impiegata da creature del tutto diverse da Quilcon.