Читаем La velocità del buio полностью

Però è più facile pensare alle cose che mi piacciono piuttosto che alle altre. Pensare a Marjory e al Te Deum di Haydn mi rende felice; invece se mi permetto di pensare a Emmy, anche per un istante, la musica diventa stridula e sgradevole e io ho voglia di scappare. Fisso la mia mente su Marjory, come fosse una pratica di lavoro, e la musica danza, lieta e spensierata.

— Quella è la sua ragazza?

M'irrigidisco e faccio per voltarmi. È la donna che stava guardando me ed Emmy: si trova dietro di me nella fila. I suoi occhi luccicano sotto il neon del supermercato, il rossetto le si è seccato agli angoli delle labbra in crosticine di un arancione scuro. Mi sorride, ma il suo non è un bel sorriso: è duro e si limita alla bocca. Non dico nulla e lei riprende a parlare.

— Non ho potuto fare a meno di notarvi. La sua amica era talmente irritata. Lei è un po'… diversa, vero? — Mette in mostra un po' più di denti.

Non so cosa rispondere. Ma dovrei dire qualcosa, altra gente nella fila ci sta guardando.

— Non vorrei essere scortese — insiste la donna, strizzando gli occhi. — Solo che… ho notato il modo in cui lei parlava.

La vita di Emmy è la vita di Emmy. Non è la vita di questa donna. Lei non ha il diritto di sapere cosa c'è in Emmy che non va… ammesso che ci sia qualcosa.

— Dev'essere dura per gente come voi — dice la donna. Volge la testa, fissa le persone della fila che ci stanno guardando e fa un risolino. Non so cosa trovi di buffo in questa situazione. Io non credo ci sia nulla di buffo. — Gestire un rapporto è già difficile per il resto di noi — continua la donna, che adesso non sorride più. Ha invece la stessa espressione della dottoressa Fornum quando mi sta spiegando qualcosa che vuole farmi fare. — Per voi dev'essere peggio.

L'uomo dietro di lei ha in viso una strana espressione, ma non potrei dire se è d'accordo con la donna o no. Vorrei che qualcuno le dicesse di star buona. Se glielo dicessi io, sarebbe scortesia.

— Spero di non averla disturbata — insiste lei a voce più alta, alzando le sopracciglia. Sta aspettando che io le dia la risposta giusta.

Io penso che non ci sia una risposta giusta. — Io non la conosco — dico, mantenendo la mia voce molto bassa e calma. Ciò che voglio dire è: "Io non la conosco e non voglio parlare di Emmy o Marjory o di argomenti personali con qualcuno che non conosco".

La faccia della donna si contrae, e io mi volto in fretta. Dietro di me sento un — Però! — soffocato, e ancora più dietro una voce maschile che mormora: — Le sta bene. — Credo sia l'uomo dietro la donna, ma non voglio volgermi a guardare. Prima di me adesso ci sono solo due persone: io tengo gli occhi fissi in avanti senza vedere nulla in particolare e cerco di sentire di nuovo la musica, ma non ci riesco. Non sento altro che rumori.

Quando esco, il caldo e l'umidità sembrano più opprimenti di quando sono entrato. Sento tanti, troppi odori: delle confezioni di dolcetti buttate via, delle bucce di frutta, dei deodoranti e dei profumi della gente, dell'asfalto rovente, dei tubi di scarico delle macchine. Appoggio i miei sacchetti sul cofano dell'auto mentre apro lo sportello per salire.

— Ehi — dice qualcuno. Sobbalzo e mi volto: è Don. Non mi aspettavo di vederlo qui. Non mi aspettavo di vedere neanche Marjory. Mi chiedo se altri colleghi della scuola di scherma facciano la spesa qui. — Ciao, amico — dice lui. Porta una camicia di maglia a righe e calzoni scuri. Non ho mai visto Don vestito così: quando viene da Tom porta o una T-shirt e i jeans o il costume.

— Ciao, Don — saluto. Non desidero parlare con lui, anche se è un amico. Fa troppo caldo e devo portare la mia spesa a casa e riporla. Prendo il primo sacchetto e lo metto sul sedile posteriore.

— È qui che vieni a far la spesa? — chiede lui. È una domanda sciocca, visti i sacchetti delle cose che ho acquistate. O pensa che le abbia rubate?

— Vengo tutti i martedì — dico.

Assume un'espressione disapprovante. Forse pensa che martedì non sia un giorno adatto per fare la spesa… ma allora lui cosa ci fa qui? — Verrai a esercitarti alla scherma domani? — domanda.

— Sì — dico. Carico l'ultimo sacchetto e chiudo lo sportello posteriore.

— Andrai a quel torneo? — Mi sta guardando in un modo da farmi desiderare di distogliere gli occhi dai suoi.

— Sì — rispondo — ma adesso devo andare a casa. Il latte dovrebbe essere mantenuto a una temperatura di cinque gradi o meno, e qui nel parcheggio ce ne saranno più di trenta. Il mio latte potrebbe rovinarsi.

— Segui un'autentica routine, eh? — dice Don.

Non concepisco cosa potrebbe essere una routine falsa.

— Fai le stesse cose tutti i giorni?

— Non le stesse cose tutti i giorni — spiego — ma piuttosto le stesse cose negli stessi giorni.

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