— Una commedia abbastanza divertente — disse Thorstern piegando le labbra con sarcasmo. Era ancora piegato verso lo schermo, ma la sua mano si era momentaneamente fermata a mezz’aria. — Il grassone finge di essere ammalato. Voi gli massaggiate il petto con grande serietà. E fra un istante mi verrete a dire che è stato colpito da un attacco cardiaco, o qualcosa del genere. Affermerete che bisogna fare subito qualcosa. A questo punto, io dovrei chiudere il gas, aprire la porta della sala in cui vi trovate, e mandare di corsa qualcuno con una bottiglia di
Raven rimase con la schiena voltata allo schermo. Non rispose e continuò a massaggiare il petto di Charles.
— Non attacca! — gridò Thorstern con rabbia. — State recitando una commedia tanto infantile che non riuscirebbe a convincere uno scemo. E io la considero un insulto alla mia intelligenza. Inoltre, se l’attacco del grassone fosse vero, io me ne starei tranquillamente seduto a vederlo morire. Chi sono io per voler fermare l’opera del destino?
— Sono contento che abbiate detto una cosa del genere — fece Raven senza voltarsi, con grande indifferenza per quello che Thorstern poteva fare. — La gente come noi è spesso ostacolata dalle considerazioni morali. Perdiamo un’infinità di tempo nel convincere altri a non farci fare cose che devono essere fatte. Cerchiamo di rimandare l’inevitabile fino a quando non si può più esitare oltre. È una nostra debolezza caratteristica. Siamo deboli nelle cose in cui gli uomini senza scrupoli, come voi, sono forti.
— Vi ringrazio — disse Thorstern.
— Quindi ci è di grande sollievo il fatto che la vittima cancelli i nostri scrupoli — aggiunse Raven, e sentì che quello era il preciso istante, l’esatto momento. Girò di scatto la testa e fissò gli occhi scintillanti d’argento sullo schermo. — Addio, Emmanuel! Un giorno forse ci incontreremo di nuovo.
Thorstern non rispose. Non ne fu capace. I suoi lineamenti aggressivi vennero scossi da una serie di violente contrazioni e gli occhi parvero voler schizzare dalle orbite. Le labbra si mossero, ma non ne uscirono suoni. La fronte si coprì di sudore. Thorstern sembrava sottoposto a una violenta tortura.
Raven osservò la scena senza mostrare la minima sorpresa, e continuò a massaggiare il petto di Charles. La faccia di Thorstern scomparve sotto il limite inferiore dello schermo. Una mano si sollevò per annaspare spasmodicamente nell’aria. Poi ricomparve la faccia, sempre contratta in maniera spaventosa. Tutta la scena si era svolta in meno di venti secondi.
Alla fine, lo strano fenomeno cessò con la stessa rapidità con cui era cominciato. I muscoli della faccia si rilassarono e l’espressione tornò quella di prima. Rimase solo il sudore sulla fronte. La voce profonda riprese a parlare, calma e fredda. Era la voce di Thorstern, con un leggero timbro che non gli apparteneva. Bocca, laringe e corde vocali sembravano essere diventate quelle del pupazzo di un ventriloquo. L’uomo girò la testa verso un microfono situato alla sinistra dello schermo e disse: — Jesmond, i miei visitatori stanno per uscire. Fate in modo che non vengano fermati.
Il pupazzo Thorstern distese il braccio, premette un pulsante, e tutte le serrature si aprirono. Fu l’ultimo atto della sua vita. L’espressione del viso cambiò ancora una volta, la bocca si aprì, e tutti i muscoli ebbero rapidissime alterazioni. Poi la testa svanì dallo schermo. Nell’attimo in cui il corpo crollava a terra parve quasi di sentirne il tonfo.
Charles si agitò. Quando Raven lo scosse con vigore, socchiuse gli occhi e cercò di sollevarsi. Tremava leggermente e aveva il respiro affannoso.
— Dobbiamo fare presto, David. Credevo di poterlo tenere sotto controllo, ma quel maledetto…
— Lo so. Ho visto la sua faccia. Andiamo!
Balzò verso la porta e la spalancò.
Poi aiutò Charles a uscire. La sala era immersa nel silenzio e lo schermo continuava a brillare vuoto. Raven richiuse il battente e svoltò nel corridoio. Era deserto.
— Quel maledetto! — disse Charles, ansimando.
— Stai zitto. Risparmia il fiato.
Superarono la porta protetta dal raggio invisibile e si trovarono nel cortile avvolto nella nebbia. Il flusso di pensieri che giungeva da ogni angolo consigliò loro di allungare il passo.