Читаем Le sentinelle del cielo полностью

— Impossibile! — esclamò Haller. — Impossibile! — Si alzò, morse la punta del sigaro e sputò a terra. — Qualcuno sta mentendo! — Sollevò lo sguardo rabbioso su Steen. — Tu per caso?

— Io? — Steen si alzò con espressione addolorata e venne a trovarsi faccia a faccia con l’altro.

— O tu, o la donna che ti ha dato il falso numero di matricola, o Grayson, troppo stordito per capire che quel cervello stava mentendo. — Haller agitò il sigaro nell’aria. — Forse è stata la donna. Vi ha lanciati lungo un vicolo cieco, e deve aver riso quando vi ha visti correre in quella direzione. Se è così, la colpa ricade tutta su Grayson. Era lui il lettore mentale. Mandalo da me… voglio andare in fondo a questa faccenda.

— Come poteva leggere in una mente piatta e impenetrabile quanto una pietra tombale? — disse Steen.

— Avrebbe dovuto avvertirti che si trovava in difficoltà e lasciarti fare alla tua maniera. Se riducevi la donna a una statua, lui poi avrebbe potuto ricavare da quel cervello qualsiasi informazione. Non è così? A che serve mandarvi in coppia, se poi siete troppo stupidi per cooperare?

— Non siamo stupidi — protestò Steen.

— Qualcuno sta raccontando frottole — insistette Haller. — Lo sento. Quella maledetta donna deve aver imbottito Grayson di menzogne. Aveva ancora l’aria stupita di chi non riesce a convincersi di qualcosa. Non è da Grayson. Vai a chiamarlo… voglio dargli una strigliata.

— Non credo che sia necessario — disse Steen, con calma. — Questa è una faccenda fra noi due.

— Davvero? — L’autocontrollo di Haller e la sua assoluta mancanza di stupore rivelarono che aveva un carattere energico. C’era una pistola sul piano del pannello. Haller si girò per appoggiare il sigaro, ma non fece nessun gesto per afferrarla. — Ho la sensazione che sia tu a mentire — disse tornando a guardare Steen. — Non so cosa tu abbia in mente, ma ti consiglio di non andare troppo lontano.

— No?

— No. Tu sei un ipno, ma cosa significa? Io posso incenerire i tuoi centri nervosi tre o quattro secondi prima che tu riesca a paralizzare i miei. Inoltre, la paralisi scompare dopo qualche ora, le ceneri invece rimangono. Sono permanenti.

— Lo so, lo so. Sei un potente pirotico.

Steen fece un gesto, e la sua mano toccò casualmente quella di Haller.

Le due mani si unirono e Haller cercò di staccarsi, ma non ci riuscì. Le due mani aderivano quasi al punto di essere carne con carne. E qualcosa di terribile stava passando attraverso il punto di contatto.

— Anche questo è potere — disse Steen.


Molto sotto l’innocuo raggruppamento di magazzini appartenenti alla Transpatial Trading Company esisteva una città in miniatura che non apparteneva alla Terra, anche se si trovava sul suo territorio. Per quanto sconosciuta e insospettata dalla maggior parte degli abitanti della superficie, la città esisteva già da molto tempo.

Lì si trovava il quartier generale del movimento clandestino di Marte e di Venere: era il cuore di tutta l’organizzazione. Un migliaio di persone andavano e venivano lungo i freddi passaggi interminabili e attraverso la serie di grandi sale. Un migliaio di uomini scelti, ma nessuno di loro era uomo come lo sono gli uomini.

In una sala lavoravano una dozzina di anziani dalle dita sottili. Si muovevano lentamente, a tastoni, come le persone che hanno soltanto due decimi di vista. I loro occhi non erano occhi, ma qualcos’altro. Erano troppo miopi per poter vedere distintamente una cosa lontana più di tre o quattro centimetri dalla punta del naso. Tuttavia, erano organi che potevano distinguere, entro il loro breve raggio, gli angeli danzanti sulla punta di uno spillo.

Questi anziani lavoravano come se stessero continuamente annusando gli oggetti che stavano costruendo. Tenevano le dita all’altezza del naso. Gli occhi assumevano una angolazione impressionante, ma potevano vedere con chiarezza molto al di sopra del normale.

Erano mutanti di Tipo Nove, generalmente chiamati microtecnici. Potevano costruire un radiocronometro tanto piccolo da poter essere incastonato al centro di un anello di diamanti.

In una sala adiacente lavoravano alcuni individui che si assomigliavano senza però essere identici, e che provavano di continuo, gli uni sugli altri, le loro strane capacità. Due uomini sedevano di fronte. Un rapido movimento del viso cambiava completamente i lineamenti.

«Ecco fatto» diceva il primo «io sono Peters».

Un altrettanto rapido movimento cambiava i lineamenti dell’altro, che rispondeva: «Strano! Anch’io».

Scoppiavano due sonore risate. Poi, sempre identici come gemelli, sedevano a un tavolo e si mettevano a giocare a carte. Entrambi si osservavano furtivamente, in attesa di quella mossa distratta del viso che avrebbe tradito la vera identità dell’altro.

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