Читаем Le sentinelle del cielo полностью

Un gran castello di basalto nero era la casa di Emmanuel Thorstern; risaliva ai primi tempi della colonizzazione, quando le pareti lisce, spesse due metri, significavano una sicura protezione contro i grossi nemici della giungla. Lì il piccolo gruppo dei pionieri venuti dalla Terra si era abbarbicato con ostinazione, fino a quando altre astronavi non avevano portato rinforzi di uomini e di armi. Poi avevano cominciato a muoversi, conquistando sempre maggior terreno.

Sette altri castelli simili, in altri punti del pianeta, costruiti per lo stesso scopo, erano stati abbandonati quando avevano cessato di essere utili. Ora si ergevano, vuoti e cadenti, come cupi monumenti agli oscuri giorni della conquista.

Ma Thorstern ne aveva occupato uno e lo aveva fatto restaurare. Le mura erano state rinforzate ed erano state innalzate nuove torri e bastioni fortificati. Thorstern aveva speso con dovizia, come se la sua discrezione calcolata nelle faccende di potere dovesse venire bilanciata da qualcosa che tutti potevano vedere. Il risultato era una sinistra mostruosità architettonica che si ergeva sopra la densa nebbia come il rifugio di un maniaco signorotto medievale.

Passandosi pensosamente una mano sul lobo dell’orecchio, Raven rimase fermo in mezzo alla nebbia a osservare l’edificio. Da dove si trovava lui, era visibile soltanto la base. Il resto si confondeva nel buio della notte e negli strati più alti della nebbia. Eppure, lo sguardo di Raven andava dal basso in alto, come se potesse perfettamente vedere quello che era nascosto agli occhi normali.

— Sembra una fortezza — osservò. — Come lo chiama? Palazzo Imperiale, Villino Magnolia, o cosa?

— Originariamente veniva chiamato Base Quattro - disse Charles. — Thorstern lo ha ribattezzato Blackstone. Però in città tutti lo chiamano il Castello. - Spostò lo sguardo verso l’alto, come se anche lui avesse la stessa facoltà di vedere quello che non era visibile. — E adesso? Dobbiamo entrare alla nostra maniera, o vogliamo aspettare che esca?

— Entriamo. Non voglio girare qua attorno fino a un’ora imprecisata di domani mattina.

— Neanch’io. — Charles indicò versò l’alto. — Entriamo dalla cima di una torre, o vogliamo passare da una porta?

— Entreremo come dei gentiluomini. In modo civile — decise Raven. — Cioè, attraverso il cancello principale. — Diede un’altra occhiata all’edificio. — Tu parlerai. Io resterò attaccato al tuo braccio e terrò la lingua penzoloni fuori della bocca. Così faremo tutti e due la figura degli idioti.

— Ti ringrazio — disse Charles; ma non aveva il tono offeso. Avanzò con Raven fino al cancello e suonò.

Immediatamente quattro cervelli furiosi lanciarono quattro imprecazioni diverse, ma tutte efficaci. Erano menti di esseri normali. Non c’era un solo mutante tra loro.

Ma era una cosa logica. Come individuo senza talenti, dotato solo di un cervello eccezionale, Thorstern si serviva di individui in possesso di facoltà paranormali, ma preferiva rifuggire la loro compagnia. Quindi, era molto probabile che le persone attorno a lui, quelle che abitavano nel castello, fossero esseri normali, scelti per meriti di lealtà, di fiducia e di servilismo.

Sotto questo riguardo, il padrone del castello nero si manteneva al livello del più basso dei servitori. Tutti gli esseri umani normali, intelligenti o ignoranti, guardavano i paranormali di traverso, e cercavano di tenerli il più lontano possibile. Era una reazione psicologica naturale, basata sull’intimo complesso d’inferiorità dell’Homo Odierno alla presenza incomoda di quello che poteva essere l’Homo Futuro. Le forze terrestri controllate da Carson e da Heraty avrebbero potuto sfruttare quell’istintivo antagonismo per mettere in difficoltà gli avversari… ma questo avrebbe portato a un accentuarsi delle divisioni umane proprio quando si mirava a una umanità unita.

Inoltre, aizzare le masse di esseri comuni contro la potente minoranza dei mutanti sarebbe stato come fomentare una rivolta simile alle lotte razziali di molto, molto tempo prima. Era un movimento che poteva sfuggire ad ogni controllo ed estendersi molto più del desiderato. Anche la Terra aveva alcuni suoi mutanti.

Un essere comune, dalle guance mal rasate, uscì da una porticina che si apriva nella grossa parete e andò a sbirciare attraverso le sbarre del cancello. Era un tipo tarchiato, dalle spalle quadrate, pieno di collera, ma abbastanza disciplinato da nascondere la sua ira.

— Chi volete?

— Thorstern — disse Charles con disinvoltura.

— Per voi è il signor Thorstern

- corresse l’altro. — Avete un appuntamento?

— No.

— Senza appuntamento, non riceve nessuno. È molto occupato.

— Noi non siamo nessuno — disse Raven. — Noi siamo qualcuno.

— Non ha nessuna importanza. È un uomo che ha sempre molto da fare.

— Se ha molto da fare vorrà riceverci senza perdere altro tempo — disse Charles.

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